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SOMMARIO
7. Il Fratello "via" verso Dio
8. Maria Guida a Gesù Eucaristia
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S.
Pier
Giuliano:
un uomo in dialogo con Dio Leggendo
un passo di un testo del Concilio Vaticano II e una annotazione di Padre
Eymard, nell'ultimo ritiro personale della sua vita, mi è venuto
spontaneo alla mente guardare le fasi della vita di questo santo sotto
l'angolatura del suo dialogo con Dio. Il
n. 2 della “Dei Verbum” dice così: “Piacque
a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il
mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di
Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e
sono resi partecipi della divina natura. Con questa rivelazione infatti,
Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e
si intrattiene con essi, per invitarli alla comunione con sé”. P.
Eymard ha vissuto questo dialogo di amicizia con Dio, al termine della
sua vita (ritiro di Saint Maurice, 27 aprile 1868), egli stesso annota
questa realtà: “Offrendomi
questa grazia del ritiro, Dio mi dà la prova più grande del suo amore
per me. Poiché vuole ammettermi presso di lui, darmi una udienza di
misericordia, vuole dunque perdonarmi, poiché mi dà la grazia della
preghiera, vuole dunque esaudirmi, santificarmi, poiché vuole proprio
parlarmi, rivelarsi, manifestarsi a me nell'orazione, egli vuole dunque
trattarmi come amico del cuore”. P.
Eymard si è definito un Giacobbe sempre in cammino; il suo è stato un
cammino segnato dall'ascolto continuo e disponibile alla voce di Dio,
dal lento lavoro dello Spirito, dal gioco paziente di circostanze
provvidenziali. “Come
il Buon Dio mi ha amato! Egli mi ha condotto per mano fino alla
Congregazione del SS. Sacramento! Tutte le grazie sono state grazie di
preparazione, tutti i miei stati un noviziato! Sempre il SS. Sacramento
ha dominato!” (Ritiro di Roma 1865). Eymard,
fin da quando è sacerdote diocesano, ricerca ansiosamente un progetto
di vita corrispondente alle sue esigenze di santità personale. Però in
questa ricerca incontra diverse difficoltà, dovute in parte anche al
tipo di educazione ricevuta. Ha poca fiducia nella misericordia di Dio;
guarda alla perfezione evangelica come ad un mostro, una montagna
ripidissima, da qui ne deriva lo scoraggiamento; trova imbarazzo
nell'acquisizione delle virtù, troppe cose alla volta - i manuali del
tempo indicavano 60 virtù che dovevano adornare l'anima del prete -. Percorreremo
attraverso i testi che Eymard ci ha lasciato le varie vie del suo
dialogo con Dio, le varie strade da lui percorse, per proporle anche
alla nostra vita. P.
Eymard, sacerdote diocesano, si sforza di dare un posto particolare alla
Scrittura. Avere sempre a disposizione una sentenza o un passo della
scrittura lo aiuta ad essere sempre occupato santamente e utilmente.
Afferma: “Un
prete che passa un giorno senza leggere la Scrittura ha perso la sua
giornata”. Durante
la sua vita Eymard ha amato in modo particolare il vangelo di S.
Giovanni, che più volte ha commentato e S. Paolo. Al termine di
un'esperienza particolare vissuta il 25 maggio 1845, egli scrive: “Ho
domandato a Nostro Signore lo spirito delle Lettere di S. Paolo, questo
grande amante di Gesù Cristo. Da oggi inizierò a leggerle, almeno due
capitoli al giorno”. Quando
fonderà la congregazione del SS. Sacramento, manterrà questa
attenzione per la Scrittura, tanto che nelle costituzioni porrà come
dovere del religioso leggerla e meditarla, quelli impegnati nella
predicazione dovranno nutrirsene, esserne “pieni”, quelli che
svolgono il ministero della confessione dovranno prepararsi con “frasi
della Sacra Scrittura”. E questo è rilevante se si pensa che nella
prima metà del XIXº secolo, la Sacra Scrittura era considerata materia
accessoria nell'ambito degli studi teologici. Ma
è soprattutto la sua esperienza personale che fa testo, di questa via
di dialogo con Dio. Il 24 febbraio del 1865, durante il Ritiro di Roma,
Eymard scrive questa meditazione: “Gesù
è la parola del Padre, il «Verbo del Padre». Egli ripete la parola
divina con rispetto: essa è divina, essa è santa. La ripete con amore:
essa è una grazia, «sono spirito e vita». La ripete con efficacia -
perché essa deve santificare il mondo, ricrearlo alla luce della verità,
riscaldarlo con il fuoco dell'amore, e un giorno giudicarlo, «Non ci
ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il
cammino?». La parola di Gesù Cristo è «spirito e vita», è
onnipotente, «se le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che
volete e vi sarà dato» - «egli parla e tutto è fatto» - Le parole
di Gesù Cristo sono i raggi di questo sole di verità «io sono la luce
del mondo» - esse sono la luce in mezzo alle tenebre”. Da
questa lunga riflessione, trae una conclusione interessantissima: “Ora
io devo essere per i miei confratelli e per il prossimo la «parola di
Cristo»“. Come
mezzo per arrivare a questo traguardo si propone di leggere con sommo
rispetto la parola di Dio; di mettersi in ascolto, di cercare di
comprendere, di sforzarsi di ripetere la parola interiore di Gesù
Cristo: ascoltandola con fede, accogliendola con rispetto e amore,
trasmettendola con fedeltà e fiducia, con dolcezza e amore. Concludiamo
la presentazione di questa prima via, con una preghiera che prendiamo da
un ritiro predicato da P. Eymard alle Ancelle del SS. Sacramento: “Oh
Gesù, sii la mia luce, la mia nube del deserto, mio unico Maestro. Non
desidero altro! Sii la mia unica scienza; al di fuori di te, tutto è
niente per me. Parlami come ai discepoli di Emmaus: che il mio cuore si
infiammi ascoltandoti”. Si
è soliti collocare negli anni 1834-1837 l'esperienza detta di
Saint-Romans, in cui P. Eymard vive un incontro profondo con l'amore di
Dio. Saint-Romans è un promontorio, con alla sommità c'era un
calvario, a 10 km. da Chatte, dove Pier Giuliano è vice-parroco. Egli
era solito recarvisi per meditare e pregare. Ciò che è avvenuto, in
una di queste passeggiate-meditazione, è rimasto presente nella sua
vita come un punto determinante, infatti a più riprese lo ricorda; per
esempio negli anni 1851, 1859, 1860, 1864 (3 volte), 1867. Da
questa esperienza nasce un principio di vita spirituale: andare dalla
contemplazione della bontà di Dio all'amore, e dall'amore alla pratica
di tutte le virtù. Dalle
lettere, che parlano di questo episodio, si può cogliere che
l'esperienza è originata dall'incontro con Dio che si rivela nella
creazione. La natura diventa via della scoperta, del dialogo con Dio,
con Dio che è Amore. “Non
dimenticate la mia roccia, la sua cappella, il suo panorama. Oh! l'ora
deliziosa che vi ho passato, qualche anno fa, sul declino di una bella
giornata! Sentivo la mia anima gioire di una pace e di una meditazione
che non dimenticherò mai”. “L'anima
ama le colline e le montagne, le sembra di toccare il cielo ed essere più
vicina a Dio. Voi siete fortunata di vedere queste belle e silenziose
montagne, l'anima va più alta attraverso di esse”. “Voi
avrete letto molti bei libri; ce n'è uno eccellente e sempre nuovo: è
quello che Dio ha scritto su tutte le piante, su tutti i granelli di
sabbia, in voi stessa, è il libro dell'amore di Dio. Fate dunque onore
a questo bel libro e aggiungete qualche pagina di ammirazione e di
riconoscenza”. Eymard
giunge a chiamare la roccia di Saint-Romans “la sua roccia mistica”.
Dalla lettera che segue si può intuire il tipo di unione profonda
stabilita con Dio, tanto che si parla di “gustare Dio”, di
“perdersi nell'armonia del suo cuore”; espressioni queste familiari
ai mistici, cioè coloro che sono giunti allo sposalizio d'amore con
Dio, ai vertici dell'unione, simile all'unione sponsale. “Voi
siete dunque a Calet, in questa meravigliosa campagna dove c'è la mia
roccia mistica, da dove io contemplavo il cielo così puro e così
bello!... Approfittate di questo dolce silenzio della solitudine per
avvicinarvi a Dio, gustare Dio, perdervi un poco nell'armonia del suo
cuore”. Il
rapporto con Dio prende un timbro tutto particolare. Siccome è l'amore
che domina, la vita acquista un aspetto positivo; ci si deve nutrire
dell'amore personale di Dio più che purificarsi e umiliarsi, l'amore di
Dio per l'uomo diventa il punto di partenza per vedere tutte le cose. “Aspirate
nelle vostre preghiere a nutrirvi di Dio più che a purificarvi e a
umiliarvi; e per questo nutrite la vostra anima della verità
personificata nella divina volontà di Dio verso di voi, della sua
tenerezza, del suo amore personale; ecco il segreto della vera
preghiera, è di vedere l'azione e il pensiero di Dio nel suo amore per
noi!... ma per arrivare a questa preghiera di vita, bisogna lavorare
molto a dimenticarsi, a non ricercarsi per niente nella preghiera;
bisogna soprattutto semplificare il lavoro dello spirito attraverso la
visione semplice e calma delle verità di Dio. Il segreto di questa
visione semplice è di vedere le cose prima sotto l'aspetto della bontà
di Dio per l'uomo... Quando l'anima ha la felicità di trovare questo
lato buono, la preghiera è piuttosto una contemplazione deliziosa dove
l'ora passa rapidamente”. Da
questa esperienza, la spiritualità di P. Eymard riceve un marchio
particolare. Egli leggerà tutto attraverso l'amore di Dio, che diventa
strada maestra per vivere le esperienze successive. La vita non sarà
altro che una risposta continua a Dio che ci ha amati per primo. Scrive,
infatti, alle Ancelle del SS. Sacramento nel 1858: “Voi
siete state create per conoscere e amare... Non si tratta di per prime,
no... Gesù Cristo vi ha amate per primo, il vostro amore non è che un
amore secondo, reso... Dovete mettervi in rapporto con lui
continuamente... tutto ciò che fate deve avere il carattere dell'amore,
tutti i raggi del sole partono dal sole... Come l'amerò? Come voi siete
amate”. La
vita diventa un cammino verso la montagna dell'amore. Nel Ritiro di Roma
del 1865, il 14 marzo Eymard riflette su “Dio Amore”. E' un inno,
possiamo dire, alle meraviglie di questo amore; alcuni passi di questa
meditazione ce ne possono rendere l'idea. “DIO
CREATORE. «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora
pietà» (Ger 31,3). Dio ha amato l'uomo di un amore eterno, di un amore
di padre, di un amore di tenerezza:«Io ti ho amato». Tutta la
creazione è stata preparazione dell'amore di Dio a favore dell'uomo
(...). DIO SALVATORE. «...Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,16):
lui stesso viene a visitare l'uomo, a consolarlo, ad assicurargli che lo
ama e a dimostrarglielo, condividendo le sue sofferenze (...). Dio ha
amato l'uomo e gli ha dato tutto ciò che ha e tutto ciò che è: il
Padre ha dato il proprio Figlio (cf Gv 3,16), il Figlio si è dato in
persona e lo Spirito Santo è divenuto il nostro comune santificatore.
(...) DIO OSPITE DELL'UOMO: L'EUCARISTIA. N.S. ama talmente l'uomo da
non poter star lontano da lui, neppure nel suo stato di gloria:
l'Eucaristia (...). Davvero, se comprendessimo appieno l'amore di Dio,
l'amore di Gesù che nasce e che soffre, l'amore di Gesù nel
Sacramento, ci sarebbe di che morire di riconoscenza o di rimorsi”. Il
18 marzo, conclude la meditazione con queste parole: “L'amore:
ecco la mia legge e la mia vita, la mia virtù e la mia forza, la mia
gioia e la mia felicità, la mia vita la mia morte il mio paradiso.
Amen!”. Dal
Ritiro di Roma, comunica ad una persona che segue spiritualmente la
grande ricchezza che ha trovato: “Permettetemi
di condividere con voi una grande ricchezza che ho trovato: spero che ne
raccoglierete dei buoni frutti. Dio ci ama personalmente con un grande
amore di benevolenza, e con un amore infinito et eterno. (...) Dimorate
nella casa della divina e paterna bontà di Dio come un bambino che non
sa niente, non fa niente, guasta tutto, ma vive in questa dolce bontà”. Abbiamo
scritto nell'articolo precedente che tutta la vita di P. Eymard ha
ricevuto un marchio particolare dall'incontro con l'amore di Dio. I vari
aspetti della sua vita sono andati sempre più impregnandosi del volto
dell'amore. La preghiera ne è un esempio; essa, possiamo dire, si
imbeve dell'amore. Scrive Eymard nel 1837: “Bisogna
cercare di avere una materia favorita di preghiera e che sia l'anima di
tutte le altre. Senza dubbio è l'amore divino... Andate diritto a Gesù
senza troppi preamboli e preparazione; l'amore va diritto al cuore”. La
preghiera e l'amore diventano due strade che si intrecciano.; scrivendo
alla sorella, nel 1844, dice: “Preghiamo
gli uni per gli altri, è là il centro dell'amicizia fraterna”. Così
anche nella meditazione, che è un aspetto della preghiera, deve essere
l'amore il fine di tutto, l'anima e il fondo di tutto. “Tenete
sempre il vostro cuore unito al Cuore divino di Nostro Signore, affinché
il suo amore divenga la vita, il principio delle vostre azioni, il
centro di tutti i vostri riposi”(1850). Eymard,
mentre è sacerdote diocesano, sente fortemente la necessità di
ricercare spazi adeguati di preghiera, di “avere l'amore alla
preghiera”; si accorge, infatti che le occupazioni esteriori, se non
sono sobrie e divine, nuocciono, dissipano lo spirito, inaridiscono e
allontanano da Dio. In
seguito, quando è marista e responsabile delle missioni mariste, si
preoccupa che i missionari abbiano la giusta attenzione alla preghiera;
scrive nel 1847: “Raccomandate
bene ai missionari di essere fedeli alle pratiche della congregazione, e
soprattutto alla preghiera e all'esame; perché se un missionario non ha
cura di nutrire e fortificare in lui lo spirito interiore e religioso,
si consumerà ben presto nel ministero”. Per
vivere bene il rapporto preghiera ed attività apostoliche, prende come
modelli S. Caterina da Siena, S. Ignazio, S. Francesco Saverio, S.
Filippo Neri, S. Teresa, S. Atanasio, S. Gregorio Nazianzeno: “Che
cosa sarebbero divenuti questi grandi santi, nel mezzo di tante faccende
e cure se essi non avessero avuto per ritiro quello del loro cuore con
Gesù Cristo che vi faceva la sua dimora. L'essenziale è dunque di
contemplare Dio lavorando per la sua gloria, e bisogna contemplarlo nel
nostro cuore e, per questo, abitare con sé, dicono i santi. Domandare
insistentemente questa grazia a Nostro Signore, come S. Geltrude:
Signore, degnate di conservare in me lo spirito di devozione: io ve lo
domando..., di unirmi perfettamente al vostro cuore, affinché io mi
applichi alle cose esteriori per la salvezza del prossimo, senza
allontanarmi da voi, e quando le avrò terminate per la vostra gloria,
ritorni subito a voi nel mio interiore. Amen”. La
preghiera è la via per avere un'unione abituale con il Dio d'amore. E'
una preghiera, però, che deve armonizzarsi con il carattere di
ciascuno, con l'attrattiva personale, con la situazione personale;
preghiera che deve essere come un dialogo. “Parlate
semplicemente e con bontà (come un bambino) a Nostro Signore come con
un altro voi stesso, come con vostra sorella. Siate un bambino pieno di
amore e di abbandono verso questo buon Maestro. Che sia piuttosto una
conversazione interiore con Dio che un lavoro dello spirito”(1853). “La
preghiera è la scala mistica che tocca il cielo, è il cenacolo delle
grazie e dell'amore, è la catena d'oro che ci unisce a Gesù Cristo, è
la vita del cuore, la forza dell'anima, la misura delle nostre grazie e
della nostra perfezione”. Ciò
che abbiamo presentato finora riguarda il periodo vissuto prima della
fondazione della congregazione del SS. Sacramento. Successivamente la
preghiera, tra le vie per il dialogo con Dio, viene ad occupare un posto
sempre più rilevante sia nella vita dello stesso Eymard, sia nella vita
dei suoi religiosi. Non trattiamo per ora della forma di preghiera,
possiamo dire, preferita di P. Eymard: l'adorazione. Ci limitiamo alla
preghiera in generale. Nell'agosto del 1867, durante un ritiro alla
comunità di Parigi, egli afferma: “Io
pongo un principio, che la grazia della congregazione è una grazia di
preghiera, e che noi dobbiamo in questo distinguerci dagli altri corpi
religiosi. Questa grazia è vostra”. La
preghiera, e in modo particolare la preghiera di adorazione, contiene
una grazia particolare. Nella preghiera, infatti, Gesù Cristo rivela i
suoi segreti, come agli apostoli nel cenacolo, come lo Spirito nella
Pentecoste. E' una preghiera che chiede di essere assidua, fedele,
insistente: “Siate interiori, assidui alla conversazione di Gesù, e
voi avrete i suoi segreti”. Per
questi motivi la preghiera è via per la formazione dei santi. Oltre
alle prove, Dio dona ai santi le sue grazie, e tra queste la più grande
è quello della preghiera, per mezzo della quale l'anima sente il
bisogno di isolarsi, di raccogliersi, di spiritualizzarsi e di
mortificarsi. La
preghiera diventa via per l'unione vitale con Gesù Cristo; mezzo perché
“la linfa divina” scorra nella propria vita, perché l'uomo
interiore, Gesù Cristo dentro di noi, venga concepito, nasca, sia
nutrito e fortificato. Prima
di concludere la presentazione di questa via di dialogo con Dio, è
importante almeno fare un accenno alla grande concezione che aveva P.
Eymard della preghiera liturgica dell'Ufficio divino, in modo
particolare quando era recitato in coro e davanti al SS. Sacramento
esposto. Egli la definisce: “Il
sacrifico della lode tra tutti più accetto a Dio”. “La preghiera
cattolica della Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo”. “La preghiera
canonica più bella, più santa, la più efficace delle preghiere, perché
è lo Spirito Santo che la ispira”. Per
questi motivi deve essere proclamato secondo il desiderio della Chiesa,
applicandosi sia esteriormente che interiormente. Egli afferma: “Non
dite il Santo Ufficio come una preghiera ordinaria, ma come la preghiera
stessa della Chiesa, la più solenne, come la preghiera più gloriosa a
Dio dopo il Santo Sacrificio”. La
via dell'amore, che Eymard ha intrapreso nel suo dialogo con Dio,
diventa concreta nella ricerca di fare la sua volontà. Egli ricorda che
S. Paolo la chiama: buona, benevolente e perfetta. Nella
volontà di Dio l'amore diventa concreto, esso vi trova la propria
regola e la propria perfezione; è il modo per percorre la via più
rapida per giungere in contatto con Dio. Scrive Eymard: “La
vostra regola: la santa Volontà di Dio prima di tutto, soprattutto, in
tutto e in tutti (...) Il perfetto amore di Dio ama Dio in Dio, va a Dio
per la via più corta, la via dell'abbandono alla santa volontà del
momento” (1848). “Continuate
a fare della santa e sempre amabile volontà di Dio la vostra regola, il
vostro centro e il fine di tutte le vostre azioni e dei vostri
desideri” (1851). L'amore
alla volontà di Dio è qualcosa di pratico, entra nella vita di tutti i
giorni, detta le azioni da compiere e dà il giusto valore a tutto. La
volontà di Dio, vissuta nell'amore, diventa l'essenziale della vita; è
il modo per andare a Dio senza attaccarsi ai mezzi. “Non
vi attaccate ai mezzi per andare a Dio, ma a Dio solo e alla sua divina
volontà del momento. Lasciatevi girare e rigirare, prendere e lasciare,
consolare e desolare da questo divin Maestro, come egli lo vorrà, e non
mettete la vostra consolazione che in una cosa sola, nell'amore della
sua divina volontà” (1852). “E'
solo l'amore che dà valore alle nostre azioni, è l'amore pratico della
sua santa volontà che costituisce la più alta perfezione. Quando
dunque Nostro Signore vuole che riceviate delle visite noiose, voi gli
siete allora più gradita che se voi foste in preghiera, a fare i più
bei atti di zelo e di carità” (1854). Diventa
per Eymard importante conoscere ciò che può essere di ostacolo in lui
al compimento di questa volontà. Scrive nel 1850: “Raccomandatemi
alle preghiere... non perché conosca la volontà di Dio, ma, ciò che
è un ostacolo ai disegni di Dio su di me. Io vorrei servirlo bene e
sento l'uomo vecchio che mi rende terreno”. “Pregate
per me, affinché corrisponda bene a tutto ciò che il Buon Dio vuole da
me”. Quando
nella sua vita inizia a delinearsi la probabilità di una fondazione al
di fuori della famiglia marista, pur desiderando e amando il nuovo
progetto eucaristico, Eymard ama e desidera soprattutto la volontà di
Dio. “Amo
e desidero l'opera del SS. Sacramento, sempre nelle condizioni della S.
Volontà di Dio”. La
volontà di Dio diventa qualcosa di estremamente importante; in essa si
racchiude come tutta la vita del cristiano; in essa la vita diventa più
bella e più libera. “Dio,
la sua gloria, la sua santa Volontà: ecco tutta la vita del
cristiano” (1856). “Nella
volontà di Dio l'amore della libertà vi troverà la vita” (1861). “Io
domando come una grazia la morte subito piuttosto che di andare contro
la volontà di Dio” (1862). Nel
compimento della volontà di Dio ogni vocazione riceve la propria dignità.
E' Dio che fa divina la vocazione, e tutte sono sante e perfette
nell'adempimento della sua divina volontà. Scrive ad una certa signora
Spazzier: “Ecco
una cosa ben certa: voi andrete sempre al buon Dio con la vostra anima
di artista, è la parola giusta, ed è una meravigliosa idea molto
giusta, si va al buon Dio come egli ci ha fatto e secondo il proprio
stato - Sì - siate l'artista del buon Dio, riunite tutto e
offriteglielo (...) Bisogna andare a Dio attraverso il cammino che egli
ci apre nel mondo” (1857). L'amore
della volontà di Dio viene paragonato ad una bussola, esso è la virtù
maestra che dirige la nostra vita. Infatti, l'anima che vuole vivere di
Dio consulta prima di tutto la sua santa Volontà; la volontà di Dio,
una volta conosciuta, diventa legge suprema, regola invariabile, prima
scienza. Vivendo
unita alla Volontà di Dio, l'anima realizza ciò che dice S. Paolo:
niente ci può separare dall'amore di Gesù Cristo. Nel
Ritiro di Roma del 1865 troviamo riassunte tutte le tematiche emerse
finora sulla volontà di Dio. Prima
di tutto la volontà di Dio è la forma della vita di Gesù Cristo. Egli
venendo nel mondo, come si legge in Eb 10,5-7, dice: “Tu
non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai
preparato (...) Allora ho detto: Ecco io vengo (...) per fare, o Dio, la
tua volontà”. Questa
divina volontà, scrive Eymard, era la forma di vita di Gesù povero,
umile, obbediente, fino alla croce; ed indica come mezzo per realizzare
l'unione con Gesù Cristo, per essere simili a lui - per esempio avere
la sua stessa dolcezza - per ricevere luce e grazia, la volontà di Dio
del “momento”, o la volontà di Dio attuale, soprattutto l'amore a
questo tipo di volontà di Dio. “Bisogna
rimanere in Nostro Signore: rimanete in me - senza esaminare il modo -
mettersi nella divina volontà del momento, non volere che questa divina
volontà, compierla secondo i suoi desideri, ed essere tutto ad essa,
con l'amore, per piacere a Nostro Signore. Essere tutto ad Essa con la
grazia; con la virtù del momento, ecco tutto, il segreto è
semplicissimo, rimanete in me”. Alla
fine del Ritiro di Roma P. Eymard vive in modo estremamente concreto
l'abbandono alla santa volontà di Dio. Venuto per trattare l'acquisto
del cenacolo di Gerusalemme, alla fine riceve una risposta negativa. Ma
egli, con l'aiuto della grazia, desidera solamente ciò che Dio
desidera, e scrive: “Mi
sono offerto a Nostro Signore, alla sua santa e sempre amabile volontà,
che tutto fa per il nostro maggior bene. L'ho ringraziato di tutto”. Al
de Cuers, il suo primo compagno, invia questa lettera: “Adoriamo
i disegni di Dio e benediciamo la sua santa volontà! (...) La S.
Congregazione ha deciso di lasciare le cose al loro posto e di non
cambiare nulla al vecchio ordine delle cose, non c'è nulla da fare per
il momento (...) Non mi rimane da dire che: sia fatta la tua volontà!”. Eymard
ha scritto anche una parafrasi del Padre Nostro; il commento che ha
fatto alla frase: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in
terra”, può costituire la migliore conclusione su questo punto. “Fa'
che non abbiamo gioia se non nel pensare solamente a Te, nel desiderare
solo Te, nel volere solamente Te; sempre e in tutto rinunciando a noi
stessi perché l'obbedienza alla tua volontà buona, beneplacita e
perfetta, sia in noi luce e vita. E quanto allo stato e al progresso
della congregazione, voglio ciò che tu vuoi, voglio perché tu lo vuoi,
lo voglio come tu lo vuoi, lo voglio in quanto tu lo vuoi. Muoiano tutti
i nostri desideri, tutti i nostri pensieri, se essi non sono puramente
da te, per te, in te”. Nella
visione di vita arricchita dall'amore di Dio, anche le croci diventano
espressione dell'amore di Dio, diventano una strada che porta diritto a
Dio. “Ho bisogno della croce per andare diritto a Dio”. Eymard
vede le croci non come delle punizioni, ma come una parte della croce di
Gesù Cristo; esse hanno un'origine divina e vanno ricevute come gocce
del sangue di Cristo. Ma per fare come lui è necessario trasformare la
croce, cambiarle nome, darle il nome dell'amore. “Non
vivete nelle croci, ma nell'amore divino”. “L'amore
ama la Croce e le dà un altro nome, il nome dell'amore restituito”. “Non
guardatela troppo, questa croce, ma guardate piuttosto la mano che ve la
invia, e allora il vostro amore la farà fiorire”. La
croce prende il nome di amore, un amore che è chiamato a crescere, e in
questa crescita la misura è data dalla sofferenza. “Quale
fortuna soffrire attraverso l'amore e per l'amore! Soffrite bene, mia
povera figlia, per l'amore di Gesù Cristo. L'amore che non soffre non
merita il nome di amore”. Il
modello è dato dallo stesso Gesù Cristo. Il suo amore ha toccato il
vertice, l'espressione più sublime nel momento della croce; la sua
passione e morte sono stati i segni più chiari del suo amore. “E
l'amore del buono e tenero Gesù, sofferente, solo, abbandonato, sulla
croce, da suo Padre e dagli uomini, non è l'ultimo grado dell'amore
sofferente e immolantesi tutto intero?”. “Gesù
sulla croce, nel mezzo degli abbandoni anche del suo Padre celeste, era
nel momento più perfetto e più grande del suo amore” (let. in. C-7,
198). Se
Gesù ha amato così, nella croce, nell'abbandono, nella desolazione, il
nostro amore deve essere simile al suo, deve unirsi al suo; non si è più
soli a portare la croce, essa prende un volto della croce che ha portato
Gesù Cristo per amore nostro. “Amate
Gesù in tutti i suoi stati di amore; e quando siete triste e desolata,
amate con Gesù desolato, ma amante sempre più”. “L'amore
divino più puro e più perfetto è quello che è unito all'amore di Gesù
triste, desolato, abbandonato del giardino degli Olivi e sulla croce. E'
tutto puro di fede, di dedizione. Si ama Dio più che se stesso” (let.
in. C-7, 198). La
vita, vissuta sotto questa luce, si trasforma, diventa gioiosa. Eymard
era contrario alla tristezza perché se Dio è amore, la vita è gioia.
Nella direzione spirituale combatte la tristezza che chiama
“organica” (forse vuol dire costante), la visione negativa della
vita perché contrarie alla fiducia nell'amore di Dio e all'abbandono in
Lui. Scrive ad una signora: “Il
buon Dio vi ama, ve lo assicuro, voi lo amate, voi non volete che Lui,
questo è certo. Potete dunque meditare sulla Passione di Nostro Signore
Gesù Cristo, ma non come modello di espiazione e di penitenza, ma
piuttosto come prova del suo amore per voi e per noi tutti. Per togliere
alla croce inseparabile di questa vita le sue asperità e i suoi orrori,
l'amore di Gesù ha fatto fiorire la sua croce dei fiori del
Paradiso”. Eymard,
come tutti i santi, ha avuto nella sua vita momenti difficili, croci
penose da portare: difficoltà prima della fondazione, difficoltà
all'inizio, difficoltà per le vocazioni, difficoltà in seguito tra i
suoi religiosi. Ma ha vissuto la croce come una benedizione,
abbandonandosi all'amore di Dio. Il
Ritiro di Roma del 1865, costellato da momenti di dolore ne è una
conferma. Le sue croci si chiamano: la questione dell'acquisto del
cenacolo di Gerusalemme, perché si protraeva nel tempo e non dava segni
di soluzione; P. de Cuers, suo primo compagno, con il suo atteggiamento
poco delicato; le prove interne che stavano vivendo in quel periodo le
Ancelle. In quei giorni Eymard scrive: “Gli
ho fatto l'offerta delle tre croci di oggi, che mi soffocavano il cuore
e mi spezzavano l'anima. Per la prima volta ho accettato e mi son messo
nella disposizione al silenzio, alla pazienza e all'abbandono nelle mani
di Dio. Avverrà ciò che Dio vorrà. Se, al mio ritorno, troverò
ancora qualche tempesta, Dio ne sia benedetto. (...) Bisogna pregare,
pazientare, benedire Dio: è tutto; saper vedere soprattutto la bontà,
la giustizia e la verità della croce”. Il
compito di un fondatore non è facile. Fondare, scrive Eymard, significa
scavare la terra del proprio cuore, tagliar pietre, martellarle,
cementarle, connetterle, togliere loro la forma grezza, levigarle,
privarle della loro libertà e della loro forma. Il fondatore rivive
tutta la fatica vissuta da Gesù per formare i suoi discepoli, rivive
nella sua carne la morte subita da Cristo per farci rinascere, rivive
l'esperienza di S. Paolo, generare come una madre nel dolore per formare
Cristo (Gal 4,19), rivive, infine, la sofferenza di Maria ai piedi della
croce, nel momento in cui è divenuta nostra madre. Ma le sofferenze
assicurano la solidità delle fondamenta e la bellezza della casa. Ed
Eymard fa l'offerta di sé a Dio: “Mio
Dio, eccomi con Gesù nell'orto degli ulivi. Vuoi che tutti mi
abbandonino, che tutti mi rinneghino, che nessuno più mi riconosca, che
io sia come un peso, un ostacolo, una causa di umiliazione? «Eccomi,
Signore: qui brucia, qui taglia, qui spoglia, qui umilia; dammi solo il
tuo amore con la grazia oggi, e domani la croce nella sterilità, ma che
io possa essere il tuo sgabello nella SS. Ostia»“. Questi
giorni di grande sofferenza danno un grande frutto per Eymard e per la
sua congregazione: il voto della personalità. Questo voto, di cui
speriamo parlare in seguito, Eymard lo emette proprio nei giorni di
maggiore dolore. Dio gli fa vedere il suo volto, gli fa sperimentare la
sua presenza di risurrezione proprio attraverso e grazie alla croce. “Sento
un gran bisogno, in questi momenti di croce dal di fuori, di nascondermi
nel divin cuore di Gesù, per essere al riparo da tutte queste bufere e
burrasche umane. Mio Dio, quanto è miserabile la povera umanità! Se
non ci fossero di mezzo la tua gloria e la tua volontà, correrei a
nascondermi e a mettermi, tutto solo, ai tuoi piedi e sotto i tuoi
piedi. Ma tu vuoi che io soffra tutte queste miserie umane, che io viva
in mezzo ad esse, con esse e quasi grazie ad esse. Sia, amen! Se non
altro potrò glorificarti meglio con la pazienza, la dolcezza,
l'umiliazione, la perdita della mia libertà e l'abnegazione continua.
In mezzo a tutto ciò dammi la serenità del tuo volto, la pace del
cuore in te e l'amore del mio prossimo. In tal modo servirò Dio mio
salvatore con più abnegazione, con più generosità e più da soldato -
Dio ne sia benedetto! -, ma da soldato d'ordinanza del gran re, senza un
nome proprio, senza un'autorità personale e senza un particolare
prestigio: «ministro di Gesù Cristo» (Rm 15,16)”. Continuando il nostro cammino alla
ricerca delle “vie” per dialogare con Dio, al seguito di P. Eymard,
giungiamo a quella che possiamo definire la sua “VIA” privilegiata.
Il dialogo d'amore, la ricerca della volontà di Dio, conducono Pier
Giuliano all'incontro con l'amore di Dio nell'Eucaristia. Un biografo lo ha chiamato:
“L'uomo di un unico amore”, riferendosi all'Eucaristia; altri lo
hanno definito “il pazzo dell'Eucaristia”. Questo per indicare
qualcosa di quello che è stata la scoperta della presenza di Dio-Amore
nella realtà del pane consacrato. Possiamo dire che l'Eucaristia si
è rivelata come una lente di ingrandimento che ha concentrato tutto
l'amore di Dio nel suo cuore, tanto da conquistarlo, da accendere un
fuoco d'amore che ha divorato la sua vita. Alcune tappe hanno segnato questa
scoperta d'amore e hanno portato P. Eymard a concentrare tutta la sua
attenzione sulla presenza di Gesù Cristo nell'Eucaristia. E' a partire dagli anni '40 che
possiamo notare qualche segno di questo amore esclusivo; per esempio,
nel 1841 egli medita sull'amore di Gesù nel SS. Sacramento e scrive: “E'
per me che Gesù Cristo ha istituito l'Eucaristia, che bontà! E' per me
che resta nel tabernacolo, che amore paziente!”. Durante
la festa del Corpus-Domini del 1845 Eymard è invitato a portare il SS.
Sacramento durante la processione. In questa occasione sente una grande
attrattiva verso Gesù Cristo, la sua anima è penetrata da fede e amore
verso Gesù nel suo divino sacramento. Decide di portare tutto il mondo
alla conoscenza e all'amore di Nostro Signore, di non predicare che Gesù
Cristo e Gesù Cristo Eucaristia. La
Presenza di Gesù nell'Eucaristia diviene il luogo dove l'amore di Dio
è in attesa del cuore dell'uomo. L'Eucaristia è segno e causa
dell'amore, un amore privilegiato di cui non si può dubitare; e l'amore
chiama amore. “Amate
Gesù nel suo divin Sacramento d'amore, è l'oasi del deserto, è la
manna celeste del viaggiatore, è l'arca santa, è la vita, il Paradiso
dell'amore sulla terra”. Nel
1851, nell'esperienza al santuario di Fourvière, Eymard definisce
l'Eucaristia “tutta la religione dell'amore”. Amore è il suo nome,
perché ne è la causa dell'istituzione, della perpetuità, e ne è il
fine. Fondando
la congregazione dei religiosi del SS. Sacramento (1856), la
congregazione delle Ancelle del SS. Sacramento (1858), chiamando
sacerdoti e laici a condividere la vita eucaristica, dedicandosi alle
prime comunioni dei giovani operai, Eymard vuole rendere partecipi gli
uomini del suo tempo della sua scoperta: il Dio amico dell'Eucaristia,
un Dio che ama l'uomo all'inverosimile e chiede di vivere un rapporto di
amicizia. “Nostro
Signore ama talmente l'uomo che non può separarsi da lui, anche nel suo
stato di gloria. L'Eucaristia è la sua incarnazione continuata,
moltiplicata, perpetuata fino alla fine del mondo, egli vuole vivere
vicino all'uomo”. “Se
gli uomini sapessero quanto amore è costato a Gesù Cristo
l'istituzione dell'Eucaristia, sarebbero in una perpetua estasi di
ammirazione e di riconoscenza”. “L'Eucaristia
riassume, racchiude in se stessa tutto l'amore degli altri misteri della
vita e della morte di Gesù”. “La
Santa Eucaristia è Gesù passato, presente e futuro... è dire tutto
dicendo l'Eucaristia! E' Gesù Sacramentato... Beata dunque l'anima che
sa trovare Gesù nella SS. Eucaristia e in Gesù Ostia ogni cosa”. Per
lui l'Eucaristia diviene il punto di convergenza di tutti i misteri
della vita di Gesù Cristo: “L'Eucaristia
racchiude in se stessa tutte le grazie e tutto l'amore degli altri
misteri della vita di Gesù Cristo”. “Con
l'Eucaristia, non invidio la dolcezza di Betlemme, l'amabilità di
Nazaret, l'ospitalità di Betania. Ho tutti questi stati, tutti questi
amori, tutte queste grazie nello Stato Eucaristico di Gesù”. “La
Divina Eucaristia è la sintesi ineffabile della vita mortale e della
vita gloriosa di Gesù Cristo, messo a disposizione del cristiano
affinché abbia la grazia dell'uno e dell'altro, e onori il Divin
Maestro nei suoi due stati... L'Eucaristia è tutti questi misteri
insieme. Gesù vi è presente sotto tutte le forme, nello stato di tutte
le virtù della sua vita mortale”. Il
culto solenne dell'esposizione che egli propone, oltre alla frequenza
alla comunione e la partecipazione alla messa, ha come scopo quello di
ricreare rapporti di amicizia e di famiglia attorno all'Eucaristia, di
risvegliare la fede addormentata di tanti uomini onesti, ma che non
conoscono più Gesù Cristo, perché non sanno più che è loro vicino,
loro amico e loro Dio. Il
Dio amico dell'Eucaristia chiede a sua volta di avere verso di lui un
amore di AMICIZIA. “C'è
l'amore di coscienza (legge e preoccupazione della salvezza), c'è
l'amore pio (vita devota, preghiere, opere...). C'è l'amore di
amicizia: pochi ne vivono, anche fra i devoti e perfino tra le persone
consacrate. E' la vita di ogni anima che vive non soltanto per Gesù ma
di Gesù... che scorge in tutto le prove del suo amore. Bisogna
stabilire la propria dimora nella stanza segreta della sua divina carità”. L'amore
è il punto di partenza di Dio verso la sua creatura, di Gesù Cristo
verso l'uomo, niente di più giusto che sia pure quello dell'uomo verso
Dio. E' la via della perfezione cristiana, cioè: la vita di comunione
con Dio. Eymard
ricorda due vie, per arrivare alla perfezione. La prima è quella del
dovere: si va progressivamente dal lavoro delle virtù all'amore che è
il vincolo della perfezione. E' una via lunga e penosa, pochi vi
arrivano, molti si scoraggiano di fronte alle difficoltà. La
seconda: più corta, più nobile, è quella dell'amore, ma dell'amore
sovrano. “Prima
di agire il discepolo comincia con lo stimare e l'amore: l'amore segue
la conoscenza; e per l'amore l'adoratore si slancia prima di tutto con
ali di aquila fino alla cima della montagna, fino al Cenacolo, dove
l'amore ha la sua dimora, il suo trono, il suo tesoro, le sue opere. E là
come aquila reale, contempla questo sole d'amore, per conoscerne bene la
bellezza e la potenza. Osa, anche, come il discepolo amato, riposarsi
sul petto del Signore tutto bruciante di amore, per riscaldarsi,
ritemprarsi, fortificarsi, e partire di là, come la folgore dalla nube,
come i raggia dal sole”. Termino
questa breve, e incompleta, presentazione della “via” privilegiata
di Eymard nel dialogo con Dio con le sue parole scritte nel ritiro di
Saint-Maurice, nel 1868: “Ho
proprio chiesto a N.S. di rinnovarmi in quella prima grazia. Gesù è là
solo, dimenticato dai suoi - sterile nel suo Sacramento. Ho proprio
chiesto la risurrezione di quella grazia - dal mio stato così
addolorato, così triste, così desolato da tre anni. Sì, il mio cuore
ha sempre amato Gesù ostia; nessuno ha avuto un cuore così”. 7.
Il Fratello: “Via” verso Dio Dall'Eucaristia,
via privilegiata di dialogo con Dio, partiamo alla ricerca di altre vie
che da questa scaturiscono. Dall'Eucaristia
deriva la scoperta del fratello, del prossimo, come luogo di incontro
con Dio. E' attraverso l'Eucaristia che Eymard legge il famoso passo di
Mt 25,40: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Con
questo non vogliamo dire che Eymard, prima di cogliere la centralità
dell'Eucaristia, non avesse un'attenzione per il prossimo che incontrava
sul suo cammino. Nella
sua vita leggiamo che vice-parroco a Chatte viene soprannominato “il
paniere bucato”, perché da quanto possiede; parroco a Monteynard
continua a dare tutto ai poveri senza alcuna limitazione, si
contraddistingue per la carità verso gli ammalati e l'attenzione per i
lontani da Dio. Quando marista è a Lione ha un buonissimo rapporto con
il mondo operaio; a la Seyne-sur-Mer viene chiamato “uomo di tutti”,
va a visitare i forzati del porto di Tolone. Ma
l'Eucaristia, vita dell'uomo, aiuta a vedere l'uomo, il fratello sotto
una luce particolare e ad avere un amore particolare. Attraverso il suo
amore, contenuto nell'Eucaristia, Gesù Cristo risveglierà tutto il
positivo contenuto nell'uomo, il desiderio di assomigliargli e di vivere
la sua stessa vita, gli farà vedere il prossimo, nutrito dallo stesso
pane di vita, sotto una luce di bontà. “C'è
bisogno dell'Eucaristia per amare il proprio prossimo come Gesù Cristo
ci ama, fino a donarsi, dedicarsi, fino al sacrificio, fino alla morte.
Allora non si fa che rendere ciò che Gesù Cristo ci dona ogni
giorno”. Attraverso
l'Eucaristia il cuore dell'uomo diviene la dimora di Gesù Cristo e la
dimora della Trinità; attraverso l'Eucaristia i rapporti tra gli uomini
sono trasformati in rapporti di fratelli, perché alla mensa eucaristica
non c'è gelosia e distinzione alcuna, ma tutti sono fratelli. “L'Eucaristia
è il legame dei cristiani. Attraverso di essa si è parenti, si mangia
alla stessa tavola, si ha lo stesso Padre che è nei cieli. «Come non
avremo uno stesso spirito di carità, noi che mangiamo lo stesso pane
eucaristico?» dice S. Paolo. Gesù Cristo è allora tutto in tutti”. La
carità fraterna trova in Gesù un altissimo modello. Egli è dolce nel
suo spirito, dice Eymard, non vede che Dio suo Padre nel prossimo, egli
non vuol vedere negli uomini che delle creature di Dio. La carità per i
fratelli deve avere le stesse caratteristiche di quelle dell'amore di
Gesù Cristo per noi. “Prima
di tutto Nostro Signore ci ha amati per noi e non per lui: ... la vostra
carità deve estendersi al corpo e all'anima del nostro fratello.
Un'altra caratteristica della carità di Nostro Signore è l'umiltà.
Nostro Signore guarda i suoi Apostoli con rispetto; perché la carità
deve essere rispettosa... Ciò che voi dovete onorare nei vostri
fratelli, è la grazia che Gesù Cristo ha messo nella loro anima; è
Nostro Signore stesso che vi è entrato con la comunione, il fratello è
il reliquiario di Gesù Cristo che è venuto nel suo corpo, voi gli
dovete i più grandi onori”. Per Eymard è Gesù
nell'Eucaristia il modello dell'amore verso i fratelli. “La
carità è il frutto divino dell'Eucaristia. La chiesa dove Gesù
risiede, è la casa di tutti, la casa paterna - riunione di tutti i
membri della famiglia. Alla s. messa, si dona, si immola per tutti, per
insegnarci a donarci, a dedicarci per i nostri fratelli, le membra di
Gesù Cristo. Alla comunione, Gesù Cristo si dona tutto intero a
ciascuno per renderci fratelli, membra di uno stesso corpo. Ecco dove si
ispira, dove si nutre ogni mattino la carità del cristiano e del
sacerdote”. Eymard
vive quanto insegna: nel ritiro di Roma del 1865 si propone di servire
Gesù e i Gesù, che egli gli ha affidato, con gioia e bontà, e cita
espressamente Mt 25,40. Un testimone afferma che i fratelli conversi
erano l'oggetto della sua bontà e della sua carità: egli amava
trascorrere lunghi momenti con essi quando andavano a trovarlo. Si
può avere l'impressione che Eymard guardi all'uomo e lo veda come
fratello, luogo di incontro con Dio, immagine del Cristo, solo quando
questi è in grazia di Dio e si è nutrito dell'Eucaristia; ma sarebbe
un errore. L'uomo
non va mai separato, isolato da Dio; la carità vera non separa mai
l'uomo dal suo stato soprannaturale presente o futuro. L'uomo è sempre
immagine di Gesù Cristo, perché in ogni uomo Gesù ha una nascita e
una crescita spirituale. Che Gesù debba ancora nascere, che debba
ancora crescere, che debba ancora fortificarsi, nel cuore dell'uomo,
poco importa è sempre Gesù che si incontra. Il
suo apostolato presso i giovani operai, presso i cenciaioli, per la
prima comunione, nasce da questa convinzione: è Gesù Cristo che si ama
in questi fratelli. Scrive
ad una collaboratrice: “Nostro
Signore sarà contento di voi! Sarà bello quando dirà con verità e
amore: voi mi avete vestito nei miei comunicanti, voi mi avete donato il
pane spirituale e un po' il pane materiale”. Caroline
de Boisgrollier, ancella del SS. Sacramento, ci riporta queste
espressioni di P. Eymard: “Come
non onorare un uomo, un ragazzo che è divenuto o che sta per divenire
un nuovo cielo, un tabernacolo vivente, un altro Gesù Cristo... Noi
abbiamo a che fare con ragazzi storditi, che sono in mezzo al mondo e
agli scandali, poveri,... Per noi sono dodici re, essi rappresentano Gesù
Cristo che ha detto: «Ciò che voi fate al più piccolo, è a me che
voi lo fate»“. Quanto
Eymard scrive in un passo del Direttorio per gli aggregati può
costituire una sintesi della sua visione del fratello come “via” di
dialogo con Dio. “Questa
carità che stima il proprio fratello attraverso il Padre che è nei
cieli, attraverso il proprio Salvatore che è Gesù Cristo, attraverso
la grazia che è o può essere in lui, attraverso il fine divino che Dio
gli destina; in una parola, è attraverso Gesù Cristo e in Gesù Cristo
solamente che l'uomo è degno di stima ... Gesù Cristo si personifica
in tutto ciò che è povero, debole, miserabile, anche peccatore, per
conciliare con questo fratello povero, umiliato, pubblicano, la nostra
carità ... E' Gesù Cristo caduto nel fango che noi andiamo a rialzare
e a pulire. E' Gesù Cristo coperto del mantello di derisione di Erode,
che si va a difendere o amorosamente a consolare dalle urla e dagli
insulti dell'empio popolaccio; è Gesù debole, impotente nelle sue
membra che si va a rialzare”. 8.
Maria: guida a Gesù Eucaristia Come
ultimo punto del nostro cammino che ci ha portato a percorre diversi
itinerari di dialogo con Dio presenti in P. Eymard ci soffermiamo sul
suo rapporto con Maria, visto in modo particolare come guida alla vita
eucaristica. Eymard
prima di fondare la congregazione del SS. Sacramento, è stato per sei
mesi novizio degli Oblati di Maria Immacolata, fondati dal de Mazenod, e
religioso marista per 17 anni, dopo un'esperienza di circa 5 anni come
sacerdote secolare. La devozione mariana è un fattore sempre presente
nella sua vita; un testimone dichiara che egli aveva per Maria una
“devozione angelica”, le esperienze sopracitate possono costituire
un'ulteriore testimonianza alla caratteristica mariana della sua
vocazione. Per
la brevità dello spazio a disposizione mi limiterò a cogliere
l'esperienza di Maria dal ritiro che P. Eymard ha vissuto personalmente
a Roma dal 25 gennaio al 30 marzo 1865 (tre anni prima della morte) e
che viene considerato il documento più importante che possediamo sul
suo mondo interiore. Per
ben cinque volte P. Eymard afferma che è Maria che l'ha condotto a Gesù
nel SS. Sacramento. La sua vocazione eucaristica la deve a Maria: “La
Madonna mi ha portato a N.S., alla comunione tutte le domeniche al
santuario del Laus all'età di 12 anni”. Infatti,
in un pellegrinaggio al santuario del Laus, Pier Giuliano incontrò P.
Touche, un altro Oblato di Maria Immacolata, che gli diede il permesso,
eccezionale per quei tempi, di fare la comunione ogni domenica. “Ella
(Maria) mi ha condotto dalla Società di Maria a quella del SS.
Sacramento”. “Mi
ha condotto per mano fino a Gesù nel SS. Sacramento”. “Quanti
favori e quante grazie mi furono da lei elargite al santuario del Laus!
A lei devo la protezione, la vocazione e soprattutto la grazia del SS.
Sacramento: ella mi ha donato al suo divin figlio come servo e suo
figlio prediletto”. “Ella,
sola, mi ha portato per mano al sacerdozio e quindi al SS.
Sacramento”. Maria
rappresenta uno dei segni più chiari che parlano a Pier Giuliano
dell'amore di Dio: “Gesù
mi ama perché la sua santa madre mi ha offerto a lui. Ella mi ama fin
dalla mia infanzia; ed io pure l'amo, soprattutto dai tempi del Laus,
dalla morte della mia povera mamma, quando mi sono donato a Maria ed
ella mi ha guidato da vera madre”. “Ho
ringraziato N.S. per averci dato una madre così pura, così santa e così
grande; per averla scelta come sua divina madre, per darcela in forza
del suo titolo di figlio, con i suoi meriti e le sue grazie”. Maria
non si è limitata a guidare P. Eymard fino alla fondazione della
congregazione, ma ha continuato a donargli la sua presenza: “E
quante grazie a partire dal 1856 (anno della fondazione): grazia del
perseveranza nonostante la sofferenza del cuore e della natura, grazia
di unità nonostante gli elementi di contrasto, ... grazia personale
contro le tentazioni. E poi tutte le grazie elargite alla stessa
congregazione!”. E'
Maria che ha affidato alla congregazione la “sublime e angelica
missione” del servizio dell'adorazione; è la vita di Maria nel
mistero dell'Incarnazione, di cui l'Eucaristia è il prolungamento, che
diventa modello per chi vuole adorare e servire Gesù Cristo. “(Maria)
era piena di gioia nel possesso e nell'unione con il Verbo incarnato ...
Ella era totalmente concentrata sul frutto divino del suo seno,
sull'Emmanuele, principio e centro e fine della sua vita. Ogni suo atto
interiore era speso nell'ammirare lo stato di abbassamento del figlio e
nel lodare la sua bontà, nell'adorarlo, nell'amarlo e nel servirlo.
Ella si trovava bene ovunque con il suo diletto. Ecco la vita che N.S.
vuole da me, la felicità della mia vocazione ... Gesù vuole farmi
partecipare alla grazia di Maria nella sua incarnazione; vuole venire a
vivere in me perché io viva in lui e per lui ... Ebbene, con la grazia
di Dio, mi propongo di incominciare oggi ad unirmi alle adorazioni,
all'amore, al servizio di Maria nei riguardi del Verbo incarnato”. Maria
visse il mistero dell'Incarnazione con un atteggiamento di adorazione.
Eymard presenta questa adorazione suddivisa in quattro momenti. “1 - Un'adorazione di umiltà e di annientamento al cospetto della sovrana maestà del Verbo, di fronte alla scelta della sua povera serva e sotto il peso di tanta bontà e amore verso di lei e verso tutti gli uomini ... 2 - Il secondo momento dell'adorazione della Madonna dovette essere un atto di gioiosa riconoscenza per la sua infinita e ineffabile bontà per gli uomini nell'aver voluto dare loro il salvatore; ... 3 - Il terzo momento dell'adorazione della Madonna dovette essere un atto di dedizione: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1,38), l'offerta e il dono di se stessa e di tutta la sua vita per servirlo ... 4
- Il quarto momento dell'adorazione della Madonna dovette essere un atto
di compassione per i poveri peccatori, per i quali il Verbo di Dio,
mosso dall'amore, veniva ad incarnarsi per salvarli ... Come vorrei
adorare N.S. nella maniera che l'adorava questa buona madre! Ho fatto a
N.S. una grande domanda: di darmi la Madonna adoratrice come mia vera
madre, di farmi partecipe della sua grazia e di questo stato di
adorazione continua mentre portava il Verbo ... Sento che sarebbe una
delle più grandi grazie della mia vita”. Il
modo migliore e forse unico, secondo P. Eymard, per alimentare la
devozione a Maria e per onorarla, è quello di imitarla: fare ciò che
ha fatto Maria al servizio di Gesù e per la sua gloria, e cercare di
vivere la dolcezza, l'umiltà e il servizio verso tutti come li ha
vissuti Maria: “Ella
pensava con il pensiero di Gesù, viveva in unione di virtù e di
fatiche con lui, dentro di sé non si occupava che di Gesù, per Gesù e
in Gesù. E poi ella era tanto dolce, tanto umile e tanto servizievole
verso tutti. Sapeva ciò che Gesù avrebbe sofferto e conosceva i suoi
nemici e i suoi carnefici; eppure nulla traspare in lei: ella si mostra
buona persino con Giuda. La sua carità era la carità del suo divin
figlio. Ho chiesto con insistenza a questa buona madre lo spirito di
dolcezza, la sua bontà, la sua calma e la sua paziente prudenza e
saggezza”. P.
Eymard ha avuto una particolare devozione per l'Immacolata, quando Dio
pone il suo regno di santità e di amore in Maria, e per Maria Regina
del Cenacolo, dove Maria, come felice e fedele serva del Dio
dell'Eucaristia, contempla la vita eucaristica di Gesù, condivide la
sua immolazione e la sua più grande aspirazione è quella di poter
essere cambiata, trasformata spiritualmente in Gesù Cristo, come il
pane è cambiato in lui. Egli
ci indica Maria come modello dell'adorazione e della vita eucaristica, e
ce la dona con il titolo di “Nostra Signora del SS. Sacramento”. |